Ritrovarsi è stato un percorso lungo

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Alla fine avevano ragione tutti. Tutti quelli che per un anno e più mi hanno ripetuto che un giorno mi sarei alzata dal letto e mi sarei sentita bene. Ecco, non è andata propriamente così, nessuna magia, nessuna stregoneria. Semplicemente, senza rendermene conto perché troppo impegnata a ricomporre i cocci, è successo che una mattina mi sono svegliata e mi sono resa conto che i cocci li avevo riattaccati tutti e non restava che da fare l’ultimo lavoro, quello di fino, ridipingere il vaso, laccarlo, magari, già che ero lí, potevo anche colorarlo di un colore diverso, o riempirlo di nuovi disegni.

Forse la metafora del vaso non sarà la più originale per parlare di una rinascita, ma di sicuro è la più facilmente comprensibile.

Che l’amore non basti lo penso ancora, ovviamente, ma adesso lo penso per motivi diversi da prima. Penso ancora che un rapporto a due, un rapporto sentimentale, sia una sfida che vivi ogni giorno, talvolta la gara è rilassata, talvolta è solo competitiva, talvolta è un gioco al massacro, un gioco di cui bisogna conoscere le regole per non farsi male e arrivare a tagliare il traguardo se non con un sorriso, comunque con grande soddisfazione. 

È stato un anno di “prime volte”, non in senso letterale, ma, osservandole in una vita completamente rinnovata, si: è stato un anno di primi appuntamenti, che a volte sono rimasti tali andando a costituire ottimo materiale per un libro sui disagi sentimentali dei trentenni d’oggi, a volte sono stati il preludio di un secondo, terzo o quarto. È stato un anno in cui tornare a guardarmi allo specchio senza sentirmi annullata come donna, e non certo perché io abbia raggiunto quella forma a cui aspiro da sempre, ma semplicemente perché ho fatto un passaggio mentale, ho capito che per piacersi e per piacere la testa viene prima di tutto, soprattutto quando non sei più una ragazzina e dal fuoco dei primi attimi di passione, rimane poi una vita intera in cui potenzialmente doversi raccontare a vicenda qualcosa ogni giorno. Ho riscoperto quella meravigliosa cosa chiamata dialogo, ho capito come raccontarmi daccapo, senza tralasciare nulla, ho capito che a 30 anni, anzi, ormai 31, puoi permetterti di giocare a carte scoperte, perché non sempre accadrà, forse quasi mai, ma dall’altra parte potresti avere un coetaneo che sta provando esattamente quello che stai provando tu.

E che cos’è? Non sono le “farfalle nello stomaco”, o almeno, quelle non le ho più provate, non sono quelle sensazioni amplificate dell’adolescenza e della giovane età in cui ogni infatuazione ti appare come l’amore eterno e ogni rifiuto come la privazione di un sogno. Sono sensi affinati. Il capire cosa vuole la persona che hai di fronte, con in mezzo un bicchiere di vino. 

È smetterla di fare la donna ingenua quando ti giustifichi con un’amica, perché qualunque cosa tu stia facendo o abbia fatto ne sei e ne eri perfettamente consapevole. È il non recriminarsi nulla, il non rimpiangere, il non sentirsi usati, proprio in virtù di questa consapevolezza.

E quando è diverso lo capisci. Lo capisci perché le dinamiche non sono poi così diverse, invece. Perché ti accorgi di quella attenzione in più nel vestirti, nel truccarti, nel scegliere un ristorante per una cena o un locale in cui bere una birra. Ti accorgi di aver voglia di tenere la casa sempre in ordine. Ti accorgi di andare in ufficio la mattina con il sorriso e gli auricolari nelle orecchie, pronta ad affrontare una valanga di merda, tanto quando la valanga sarà passata avrai altro a cui pensare, che non siano tu, e la tua vita, e i mestieri e la spesa, le pulizie e le bollette. 

E queste sono le cose belle.

Lo capisci anche perché hai fottutamente paura, invece, di quello che sarà. Perché se sei riuscita a sopravvivere incolume a quasi due anni emotivamente devastanti e a ritrovare un equilibrio non vedi poi tutta questa necessità di stravolgerlo di nuovo, di cambiare qualche abitudine, magari rinunciare a qualche spazio. E mentre lo pensi, ti rendi conto da sola che è una cazzata, perché non stai rinunciando a nulla, semplicemente lo vuoi fare. E tu ti sei appena ripetuta per quasi due anni che volere è potere e la tua forza di volontà era la cosa in assoluto più importante.

Forse è più facile ammettere che il passato ti ha solo lasciata più dubbiosa e diffidente, sempre pronta a chiederti “ne varrà la pena?” 10-20-30 volte consecutivamente. Senza, per altro, trovare una risposta. 

Ritrovarsi è stato un percorso lungo, trovare qualcuno a cui raccontarlo e raccontarsi potrebbe esserlo altrettanto, e non ci sono orologi biologici che tengano, parenti che ti chiedono “ma allora, a quando un nuovo fidanzato?”, non ci sono tempi giusti o tempi sbagliati, perché sono tuoi e nessuno può giudicarli. Bombardata sui Social da immagini di compagni, dalle elementari al liceo, che si sposano o festeggiano una nuova nascita, senti di viverla diversamente. Se prima piangevi disperata, ora sei pronta a commuoverti, quando è il caso, o corrugare la fronte quando sai cosa c’è dietro, cosa non è pulito e limpido come vogliono farti credere.

Dicono che la disillusione sia la peggiore delle cose che ti possa capitare, io dico: dipende. Da come la gestisci, disillusione e basta significa non vivere più a colori, disillusione come acquisizione di nuove consapevolezze vuol dire che forse, qualche potere in più su con che colori dipingere quel vaso rinnovato di cui ho scritto all’inizio, in realtà ce l’hai eccome.

Di auguri a me stessa ne ho fatti molti, ed evidentemente sono serviti, ora voglio farne uno a chi legge o ha letto in questi quasi due anni i miei editoriali “d’amore”, trovandone conforto, scrivendomene, chiedendomi un consiglio, o semplicemente dicendomi che era in totale disaccordo con quella foga di chi non ci crede nemmeno un po’ e ha solo voglia di far finta che vada tutto bene, pur di non aprirsi. E la cosa che voglio dire è questa: nessuna ricostruzione riparte davvero se non siete voi a volerlo, se ogni giorno non rappresenta un piccolo passo, una piccola scheggia riattaccata. Nessuna nuova vita vi pioverà dal cielo mandata da improbabili angeli custodi (il mio, se c’e, è ancora ubriaco in qualche bar), si fa un’estrema fatica. Una fatica che nessuno vi abbuonerà solo in virtù del fatto che avete sofferto. 

Ci vuole anche coraggio, ci vuole quella cosa chiamata cazzimma (grazie nonna, per avermi lasciato in eredità questo meraviglioso ed intraducibile altrimenti, termine napoletano). Iniziate dalle cose semplici, come una smorfia allo specchio la mattina appena svegli, che non sia un broncio, e nemmeno un sorriso se non vi va, basta una linguaccia, alla vostra immagine riflessa, una linguaccia di sfida, che sottointenda “Oggi a noi due, io sono più forte”. 

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