Rihanna è ingrassata… e quindi?

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Rihanna è ingrassata… e quindi? Vorrei capire cosa vi interessi, vorrei davvero capirlo. Vorrei capire il perché di certi commenti beceri, delle prese in giro al limite (o anche, oltre il limite) del bullismo, vorrei capire che soddisfazione riuscite a trarre dal bodyshaming, ma niente, non ci arrivo proprio. Forse qualche genio vuole illuminarmi? I commenti sono aperti, e sarei curiosa di leggere un’argomentazione che si possa definire tale a sostegno del mood “godereccio” che pare essersi scatenato negli ultimi giorni, per il semplice fatto che una bella, bellissima e famosa popstar come Rihanna abbia messo su qualche chilo.

L’antefatto è dunque questo: Rihanna è ingrassata. Il perché non lo sappiamo. Magari ha qualche disfunzione ormonale, sta facendo delle terapie, ha cambiato dieta, magari è depressa, o, magari, molto più semplicemente, ha deciso che passare una vita rinchiusa in una taglia 36 mangiando solo mele non vale proprio la candela. Qualunque sia la motivazione, l’assunto finale è uno solo: a nessuno di noi dovrebbe fregare un beneamato cazzo. Scusate il francesismo, so che non indicizza, ma anche chissenefrega. Qui si sta parlando di uno dei tanti ultimi fatti che mi sconcerta e vale tanto per il mondo dei VIP quanto per quello dei blogger, degli influencer, degli instagramer, o sedicenti tali.

Quando una star conosciuta per la sua bellezza fisica (per altro, anche su questo ci sarebbe da aprire un capitolo a parte, perché la bellezza, dio santo, è auspicabile abbiate capito tutti nel 2017 che è assolutamente soggettiva!), prende qualche chilo la cosiddetta “opinione pubblica” si spacca decisamente a metà:

  • “Rihanna una di noi”
  • “Guarda come si è inquartata, pare una mucca, ahahah, le sta bene essere diventata un cesso” et similia

Ora, va da sé che, almeno per quanto mi riguarda, nessuna delle tue opinioni rispecchi una giusta via. Rihanna non è una di noi, una di voi, una “degli altri”, Rihanna è semplicemente se stessa, anche se famosa, anche se guadagna milioni di dollari, anche se riempie i palazzetti e macina dischi di platino. Rihanna è Rihanna, ed è una cantante famosa. Mi piacciono le sue canzoni? No. Andrei ad un suo concerto? No. La sento simile a me in qualcosa solo perché ora condividiamo la cellulite? No. Penso che la cellulite sia una bella cosa e ti faccia sentire “una donna normale”? No. Mi sganascio di risate davanti alle sue foto o godo perché è ingrassata o ne rido con le amiche? NO, assolutamente No.

È vero, dire di NO mi piace molto in generale, ma a tutte queste domande rispondo di no perché è uno NO vero, dal profondo del cuore. Il bodyshaming, come tutte le forme di discriminazione, è gravissimo, e chi lo fa non è altro che un codardo insicuro. Ogni commento, anche il minimo, anche quello che nella vostra testa si forma come “battuta di spirito”, può trasformarsi, per chi è oggetto del commento o della battuta, in una forma di bodyshaming.

Io non voglio fare la moralizzatrice, non l’ho mai fatto, e poche volte ho utilizzato questo blog per parlare di argomenti così seri, di base non ritengo di averne le competenze, e averne passato (e passarne ancora), esperienza diretta, non basta per poter dare consigli. Allora, anche se con grande fatica, voglio solo raccontarvi una storia, la mia, una storia come tante probabilmente, una storia che a molti non dirà nulla, una storia in cui invece qualcuno si ritroverà, una storia in cui qualcuno si immedesimerà, una storia che farà pensare che allora non tutti i blogger scrivono solo una fraccata di idiozie, una storia che verrà presa male, una storia che verrà scambiata per ricerca di pietismo e like. Sapete che c’è? Ora, 6 giugno 2017, posso scriverla e francamente di quello che penseranno gli altri posso dire onestamente che non me ne frega una beneamata mazza, ma ci sono voluti anni, anni, anni, anni e anni di lavoro su me stessa, per giungere ad un pensiero del genere.

Sono sempre stata una bambina grassa. E diciamo le cose come stanno, perché usare il termine sovrappeso e fare la politically correct ha ben poco senso. Il grasso è grasso e c’è poco da stare a spiegare. Del fatto di essere cicciona ho preso consapevolezza in seconda elementare, vi racconto come: ora di ricreazione, uno dei pochi giorni in cui non avevo la merenda portata da casa, vado a comprarmi una focaccina rotonda con poche monetine e mi metto in un angolo del cortile a mangiarla. La mia maestra (persona a cui devo molto, se scrivo in italiano corretto è merito suo, sappiatelo), mi vede, mi si avvicina con fare minaccioso e mi dice: “Alessandra, cosa stai facendo? Quante ne ha mangiate?” – Nel rispondere: “Una, maestra” – con tutta la sincerità e la voce di cui ero capace, si è accesa in me la consapevolezza che qualcosa non andasse.

Perché la maestra sembrava arrabbiata nel farmi quella domanda.

Sto scrivendo una cosa che credo di non aver mai detto a nessuno, se non alla mia psicologa, ma se tanto mi da tanto, dopo 5 anni di terapia, direi che posso condividerla serenamente con tutto l’Internet, mi dispiace solo se leggendo mio papà o mia sorella dovessero sentirsi in colpa di non averlo mai saputo. Stiamo tutti sereni e andiamo avanti che la faccenda della maestra convinta che avessi saccheggiato il banco delle focacce direi che è stato il più piccolo dei miei problemi, anzi, a posteriori penso davvero che sia stato un bene che io abbia preso consapevolezza del fatto che se gli altri mi guardavano in modo strano, ogni tanto ridacchiavano o si dicevano “cose nell’orecchio” con le mani a coppa, non era perché mi fossi sporcata di penna mani e grembiule o avessi segni di pennarello strani sulle guance, ridacchiavano e parlottavano perché ero cicciona, rotonda, rubiconda, arrivavo ultima nella corsa durante l’ora di educazione fisica, ero DIVERSA insomma. Non soffermiamoci adesso su questo aggettivo, DIVERSO, altrimenti, più che un post, si trasforma in una Divina Commedia, e io ho tante cose da dire.

Le elementari sono state di fatto il momento della mia vita in cui ho appreso e compreso di avere qualcosa di DIVERSO. La ciccia. Apprendere il significato di DIVERSO, nel senso puramente stretto della lingua italiana [Che non è uguale né simile, che si scosta per natura, aspetto, qualità da altro oggetto, o che è addirittura altra cosa], mi ha permesso al contempo di rendermi conto di essere DIVERSA anche in altre cose, però. Ad esempio io cantavo da dio, mentre metà dei miei compagni erano stonati come campane, ad esempio io andavo bene in Italiano e scrivevo dei temi che ciao già in terza elementare, mentre la metà dei miei compagni metteva insieme pensieri a dir poco banali e infantili. Nella mia visione, anche queste cose mi rendevano DIVERSA, un un’unica differenza: la mia voce o l’andare bene a scuola generavano complimenti, la ciccia no, affatto. Ed è così che cresci e capisci che in realtà l’aggettivo DIVERSO, è completamente privo di significato. Ognuno è fatto a modo proprio, ognuno è un insieme di caratteristiche differenti, inclinazioni, emozioni, malattie, guarigioni, percorsi, viaggi, disagi, sofferenze, gioie, risate, cattiverie, bontà. Ognuno è fatto a proprio modo e nessuno, mai, deve essere giudicato.

Se le elementari sono stati gli anni delle risatine e delle mezze frasi mai comprese appieno, quelli delle medie sono stati un inferno. Arrivo in prima media ancora con i miei fuseaux a fiori e le magliette extra large, ci arrivo che sono ancora una bambina con il caschetto liscio alla Beatles, con la frangetta tagliata da mamma perché andare dal parrucchiere mi stava un po’ sulle balle, ci arrivo senza avere la più pallida idea che di lì a poco sarei entrata in quel fatidico momento della vita chiamato pubertà, ci arrivo con gli occhiali da vista alla Harry Potter (senza che Harry Potter esistesse ancora), e la pelle un po’ lucida, anche se non so ancora perché.

Nei primi mesi delle medie, con un cambio di compagni di classe piuttosto consistente rispetto ai 5 anni precedenti, mi sono sentita dire un sacco di cose spiacevoli, ne scriverò solo una, che chissà perché è quella che mi è rimasta più impressa, pur non essendo di certo la peggiore: “Si fa prima a saltarti che a girarti attorno”. Una cosa è da dire: alle provocazioni ho sempre reagito di petto, anche all’epoca, quando ero solo una ragazzina timida e insicura, brava a scuola, intelligente, educata. Gli albori di quel carattere che oggi è riconosciuto comunemente come uno “STATE ATTENTI A NON FARLA INCAZZARE”, si intravedevano già e con il senno di poi, dico: meno male.

In quella fase di pre-adolescenza giravano un sacco di riviste femminili in casa mia, d’altra parte una sorella di 10 anni più grande e una mamma servono anche a questo, no? E così un giorno mi imbattei in una di quelle rubriche sul “dimagrire e star bene” e mi soffermai a leggere le domande e le risposte. Pensai che non ero l’unica a sentirsi DIVERSA per il girovita e le cosce, e così andai da mamma e dissi: “Voglio fare la dieta”. In prima media. E mia mamma disse “Ok, si va dal medico però”. E così fu. Andai dalla Dottoressa Carla Lertola, la nomino apertamente perché ancora oggi scrive e collabora con giornali importanti, ha creato un metodo efficace che ormai chissà quante persone hanno seguito e ne hanno tratto beneficio. Con un percorso di un annetto buono persi 12 chili. Inutile dirvi che cambiai completamente fisionomia, anche perché lo feci in un momento di piena crescita, uno di quei momenti dove devi anche iniziare a prendere consapevolezza di avere due tette (che, chissà come mai, generano sempre una grande curiosità nell’altro sesso), i peli superflui, il ciclo, sant’Iddio, il ciclo mestruale, che incredibile disdetta. Nonostante tutto, diciamolo, non ero ancora matura a sufficienza per rendermi conto di tutto, all’epoca mi interessò molto di più il fatto di poter iniziare a comprare i vestiti negli stessi negozi delle mie compagne (considerando che portavamo dei jeans orribili di Subdued e le maglie della Onyx con le bamboline, non so quanto mi sia convenuto, in effetti 😀 ), fare danza senza sentirmi l’Ippootamo di Fantasia, iniziare a fantasticare sul primo bacio, mettermi in costume da bagno senza vergogna, insomma, tutte quelle cose lì.

E poi ero in terza media, e un giorno di un’uscita scolastica al Castello Sforzesco, un compagno di cui, per inciso, ero follemente innamorata, mi chiese: “sei dimagrita tanto, che taglia porti adesso?” – “42/44, risposi” -orgogliosa – “Ah, come mia madre”. Si concluse così la conversazione sui miei “progressi” e io rimasi con quella sensazione addosso che, no, portare la stessa taglia di sua madre non fosse propriamente un punto a mio favore. Anche questo credo di averlo raccontato a due persone, in una vita, e no, non è una stronzata. O almeno non lo è stata per me, perché anche questo mi ha portata a riflettere e a chiedermi per chi stavo seguendo il mio percorso, per me stessa o per gli altri?

Per piacere agli altri?

Per sentirmi parte di una società dove, fosse possibile, verrebbe assegnato un Nobel al culo di Belen e non a Enzo Biagi?

La risposta ora ce l’ho chiara, ma sono passati davvero tanti anni. Cosa è successo nel mezzo?

Nel mezzo ho continuato a soffrire per anni di peso yo-yo, con momenti bui, momenti di splendida forma, fino a quando, nel 2006, con un semplice esame del sangue che nessuno aveva mai pensato di farmi fare prima, ho scoperto di avere problemi di tiroide. Nello specifico sono ipotiroidea, significa che la mia tiroide non funziona come dovrebbe, anzi, è in gran parte amorfa e atrofizzata. Significa che non produce gli ormoni necessari alle normali funzioni vitali, significa che finalmente avevo in mano delle risposte a mille domande: perché sono sempre stanca? Perché ho le occhiaie così pronunciate? Perché ho un ciclo irregolare e doloroso? Perché i miei capelli tendono a diradarsi e le mie sopracciglia a non crescere? Perché dimagrisco e ingrasso senza nessuna logica? Perché anche se dormo 10 ore mi sembra di averne dormita una? Perché i miei muscoli diventano marmo dopo ogni minimo sforzo e in estate mi gonfio come un pallone aerostatico e soffro di crampi notturni?

Uno dice, scovi il problema, hai la soluzione, no? Beh più o meno ragazzi, più o meno. Dal 2006 ad oggi ho assunto ogni giorno diligentemente il medicinale a me prescritto, con vari dosaggi cambiati nel corso degli anni e sottoponendomi regolarmente a controlli ed esami del sangue. Ho avuto altri periodi particolarmente difficili e mi sono nuovamente affidata a dietologi e nutrizionisti, ho “tamponato”, per così dire, ma con quella sensazione persistente che qualsiasi sforzo facessi per stare davvero bene con me stessa non fosse sufficiente.

Ho avuto delle frequentazioni, sono piaciuta. Ho avuto un fidanzato per 5 anni che mai, e dico mai, nemmeno nei giorni più bui e difficili ha mai smesso di farmi sentire desiderata, eppure lo sa anche lui, non mi sono mai bastati tutti i complimenti del mondo a farmi sentire completa, a non farmi sentire la bambina della focaccia, pronta a scattare per ogni minima frase fuori posto, battuta, osservazione su di me. Ho imparato a valorizzarmi con il tempo, ho capito cosa mi sta bene e cosa no, cosa acquistare e cosa lasciare sugli scaffali dei negozi, ho combattute le mie battaglie per l’iniquità delle taglie e ho discusso con innumerevoli commesse pronte a farti sentire letteralmente una merda per essere lontana dalla 40. Ho imparato a rispondere a tono agli scettici, a quelli che banalmente pensano che se sei sovrappeso è perché ti scofani tutto il frigo e la dispensa.

Ho riflettuto, tanto.

Il punto è, cari i miei bodyshamers, o comunque tutti voi che adesso starete leggendo e pensando: “ma io ho solo fatto qualche battuta a volte, non intendevo, non volevo”, che nessuno ha il diritto di dire niente, nemmeno scherzando, nemmeno ironizzando, perché nel 99,99% dei casi non sa nulla della persona che ha davanti e di quello che sta passando. Anche se la conosce da una vita. Non sa se ci sono problemi oggettivi, una patologia, come la mia, oppure se il disagio è psicologico (perché i disturbi dell’alimentazione, tutti, tali sono, per poi ripercuotersi in ferite del fisico e dell’anima difficili da rimarginare), non sa che ogni parola può essere un peso enorme da sopportare o tradursi in un chilo in più o in meno  da combattere.

Il rispetto chiama silenzio. E tutti, tutti, dovremmo imparare a tacere. Rihanna è ingrassata… e quindi? Quindi chissenefrega, se avrà voglia ne parlerà con la stampa, magari racconterà una storia che aiuterà altre persone ad uscire dal guscio, un po’ come sto facendo io adesso, anche se il merito non è di Rihanna, è stato solo un caso che mi sia successo in questi giorni, l’idea di questo post era già “in canna”, pronta da mercoledì quando, dopo anni di battaglie contro i mulini a vento, ho finalmente incontrato un medico che mi ha ascoltata.

Da giovedì ho iniziato una nuova terapia che, lo spero con tutto il cuore, dovrebbe portarmi a risolvere molti dei miei problemi di salute, e, tra tutte le cose che mi sono sentita dire nel corso di questa visita che attendevo da tempo e che ho cercato con determinazione, una è stata emblematica: “Complimenti per non essersi arresa e per la tenacia con cui è arrivata fino in fondo, fino in questo studio. Molti altri si sarebbero arresi dopo anni di su e giù e delusioni da medici e terapie”.

Mai arrendersi, e questa volta lo dico con assoluta certezza, mai arrendersi per se stessi, ma non per vivere nell’illusione o nel mito di un corpo perfetto, mai arrendersi quando non ci si sente bene, non ci si sente a posto, ci si sente prigionieri di una “custodia” che non mette a proprio agio. Mai arrendersi nemmeno quando ci si sente al contrario, con 1 o 100 chili di più, perfettamente se stessi e sereni, nel momento in cui si è sani, il giudizio altrui o i modelli predominanti della società, non devono contare un cazzo. E, ancora una volta ripeto, se non si fosse sani del tutto, la volontà e il desiderio di cambiare qualcosa non devono partire da nient’altro che da se stessi.

Rihanna è ingrassata, e voi tutti scrivete corbellerie sui Social alimentando la teoria dell’analfabetismo funzionale, per poi strizzarvi le cosce davanti allo specchio analizzando le ultime novità delle vostre gambe in fatto di buccia d’arancia e cellulite. Viviamo tutti nel controsenso rispetto ai nostri corpi e a quelli degli altri, ed è ora di smetterla.

Io proseguo il mio percorso, con la stessa tenacia di quando a 6 anni sostenevo di aver mangiato una sola focaccina, una sola, e per me era un premio, quasi, mangiarla quel giorno che non avevo la merenda da casa, che sicuramente sarebbe stata sana.

Sto attenta, e starò attenta, a seguire le mie cure. Mai mi vedrete però rinunciare alla torta di compleanno di una persona a cui voglio bene, a un bicchiere di vino con un uomo affascinante, alla scorpacciata di pesce al mare con gli amici. Mi vedrete godermi i piccoli piaceri della vita, cibo compreso, mi vedrete sudare in palestra, non per esorcizzare i sensi di colpa, ma per sentirmi, subito dopo, carica di endorfine.

Chiunque vi faccia sentire delle merde, chiunque vi faccia sentire sporchi, malati, in colpa, per una vostra caratteristica fisica, è una persona piccola, una di quelle da lasciare sullo sfondo, da oscurare. Rihanna è ingrassata… e quindi? Io vedo solo una bella, bellissima ragazza, con un sacco di dischi di platino da sfoggiare, e migliaia di fan adoranti, se ora, voi, vedete solo due taglie in più e dei cosciotti pieni, lasciatevelo dire, non è di certo lei ad avere un problema.

 

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