Milano Design Film Festival, c’è vita dietro il progetto

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Si è conclusa da poco la terza edizione della rassegna cinematografica Milano Design Film Festival, appuntamento annuale con il design e l’architettura, attori protagonisti sul grande schermo per consacrare la città come capitale di una rinnovata cultura del progetto. Niente prototipi, niente prodotti e installazioni; sperimentazione e trasformazione, i concetti che sintetizzano al meglio i temi e gli obiettivi dalla kermesse. Tra sviluppo urbano e colonizzazioni edilizie, oltre settanta i documentari proiettati nelle sale di Anteo Spazio Cinema a confermare l’importanza del video come imprescindibile strumento per svelare i retroscena della progettazione.

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Una sfida che si è trasformata velocemente in un appuntamento atteso. Essere non solo testimoni, ma anche attori attivi di un radicale cambiamento nel mondo della comunicazione, ha guidato le nostre scelte per rendere più evidente la forza empatica di questo linguaggio. Quello che fin dall’inizio ci ha affascinato di più è la capacità di mostrare in poche ore di proiezioni realtà, stili di vita, filosofie, ambizioni, sogni diversi tra loro. Idiomi, paesaggi, città e biografie scorrono sugli schermi per legittimare differenze, suggerire soluzioni, mostrare cambiamenti”. Così le ideatrici e curatrici del festival, Antonella Dendini e Silvia Robertazzi, hanno introdotto una fitta programmazione che ha definito i connotati di un mondo rivestito con nuovi tessuti architettonici e urbanistici.

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Quella che segue è una mia personale selezione emotiva, guidata da intramontabili passioni e nuove scoperte. Appassionanti i racconti biografici, il primo ad aprire l’evento, The Price of Desire, ricalca la vita di Eileen Gray, architetto e designer irlandese tra i maestri del Modernismo, che si riflette nella sua più rappresentativa realizzazione, la villa sul mare E1027, costruita a Roquebrune e arredata con la poesia dei mobili da lei disegnati. Un aneddoto che può sembrare divertente, per lei fu decisamente drammatico. L’avversione per la freddezza tipica della progettazione di Le Corbusier contrapposta al personale interesse per le teorie neoplastiche, la spinge ad abbandonare la sua dimora quando l’architetto svizzero, durante una delle pause di riflessione nel mediterraneo, spinto dall’ossessione per la pittura, dipinge su richiesta del proprietario, le pareti dell’osteria adiacente alla sua casa.

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E a proposito del pioniere del Movimento Moderno, Le Corbusier 50 celebra mezzo secolo dalla sua morte. Nonostante l’assidua frequentazione mai riuscì a realizzare un progetto nel nostro paese; solo per un soffio, nel 1964 decise di affidare a Cassina i diritti di riedizione dei complementi ideati con Charlotte Perriand e Pierre Jeanneret, divenuti vere e proprie icone del design. Frame dopo frame scorrono quindi i ricordi di LC2, LC3 e LC4, la famosa chaise longue, nei diversi contesti in cui hanno fatto le loro prime apparizioni, dal Salon d’Automne del 1929 alla presentazione della collezione LC di Cassina nella Milano degli anni 60.

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Cambio sala, è amore vero! Mi ripeto ma con il piacere di farlo. Amare Gio Ponti, è il documentario realizzato da Francesca Molteni. Philippe Daverio lo introduce definendolo il papà della milanesità. Promotore di sempre dell’Italian Design, rivive nel racconto dei familiari, i figli Lisa, Letizia e Giulio e i nipoti Salvatore Licitra e Paolo Rosselli. Tanti i contributi da Fulvio Irace a Benedikt Taschen, da Nanda Vigo a Enzo Mari e Sandro Mendini, per ridare colore al ritratto dell’uomo e dell’architetto diffidato dalla critica che, in più di cinquant’anni di attività, ha sperimentato tutto, arti, mestieri, oggetti, architetture e materiali; Un divulgatore del moderno vissuto nell’indifferenza di chi detestava il suo non essere accademico. “Una casa moderna alimenta in chi la abita il desiderio di uffici moderni, di macchine moderne, di città moderne” Forse sta in questo passo il motivo della riscoperta come modello di architetto europeo e internazionale. Sulle immagini della sua casa di via Dezza, sintesi perfetta di uno stile, una voce riecheggia parole: “Amate gli architetti moderni, non ci sono altri architetti per voi; ma siate duramente esigenti con essi, è il modo vero di amarli. Esigete da loro sempre un’architettura piena di simpatia umana, di immaginazione, nitida, essenziale, pura; pura come un cristallo”.

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La Poesia nella Forma è invece una storia avventurosa a colpi di sfide e innovazione, quella di Piero Ambrogio Busnelli. Parla di modernità, ma chiamiamola pure avanguardia. Era così avanti che anticipò la costruzione del bistrattato Beaubourg di Parigi, la sede del Centro Nazionale d’Arte e Cultura Georges Pompidou, a casa sua e che grazie alla collaborazione con un allora giovane architetto di nome Renzo Piano, diventerà presto sede della C&B fondata insieme ai fratelli Cassina, oggi riconosciuta in tutto il mondo come B&B Italia. In una Brianza dove ancora domina l’artigianato, sperimenta tecnologie avanzate e nuovi materiali, dando il via a un’epoca imprenditoriale culla di tante icone del design Made in Italy.

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Interessante la ricerca di Chiara Alessi, Design senza Designer vuole dimostrare il ruolo sempre più significativo assunto da competenze alternative che si incontrano per costruire sistemi e alleanze. Artigiani, terzisti, distributori diventano un osservatorio privilegiato per tracciare il presente del progetto e il suo stato di salute. La sua è anche un’indagine che cerca di comprendere la resistenza di luoghi comuni a partire da quello per eccellenza della nostra epoca, secondo il quale tutti sono designer, fino ad arrivare a Made in Italy, futuro dell’artigianato, alla crisi dei distretti, alla morte del retail e al primato del passato sul presente. La visione continua con un modello animato realizzato sugli sketch di piramidi messicane, disegnati da Adolf Loos nel 1923 per il progetto di un municipio a Città del Messico; Bady Mink e Stefan Stratil rivelano i concetti architettonici di superficie, volume e spazio di un altro pioniere dell’architettura moderna. The Man With Modern Nerves è un susseguirsi di giochi astratti di forme geometriche, luci e ombre che rimandano alla cinematografia degli Anni 20.

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A Milano Design Film Festival non solo proiezioni; tavole rotonde e workshop hanno introdotto i partecipanti all’esperienza vissuta. Filmare l’architettura prende il titolo dal lavoro preparato dagli studenti dell’Accademia di Architettura dell’Università della Svizzera Italiana. Esplorare nel tempo le volumetrie per leggerle attraverso un film aiuta a mettere a fuoco il potere analitico del costruito e sollecita continue percezioni che consentono allo spettatore di ricreare mentalmente uno spazio complessivo. Con la supervisione di due cineasti d’eccezione, Ila Bêka e Louise Lemoine questo laboratorio ha dato vita a una collezione di 5 cortometraggi. Tre di questi prendono in considerazione la storia degli ultimi decenni di Monte Carasso, grigio comune del Canton Ticino che dagli anni 70 si vede protagonista dell’eccessivo e continuo sviluppo del suo piano regolatore con le nevrosi architettoniche e urbanistiche di Luigi Snozzi. 100 teste 100 opinioni amplifica le testimonianze dei suoi abitanti divisi sull’impatto di questa ininterrotta e alienante trasformazione. In Giocheranno vanno in scena la vita e la morte; si rincorrono in piazza dove, in un tanto improbabile quanto dissacrante contesto, trova spazio il cimitero che diventa così il parco giochi della vicina scuola elementare. Conosciuto anche per la fastidiosa ed eccessiva presenza di muri fornisce spunti per In bilic, qui uno strano personaggio cammina tracciando percorsi immaginari interrotti da fermate forzate.

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Ci spostiamo a Giubiasco sempre nel Canton Ticino dove i futuri architetti hanno preso in considerazione due insediamenti emblemi di una progettazione vocata più alla funzionalità che all’estetica. Nel breve documentario PET in fuga un’astuta bottiglia di plastica con le ore contate, corre in cerca di libertà attraverso corridoi e meandri di un inceneritore. L’occhio critico delle nuove generazioni ha voluto somministrare un antidoto a un approccio, in certi casi troppo pragmatico, al progetto. Qui vicino, il termovalorizzatore si trasfigura in Automa Organico assumendo il ruolo di un organismo vivente che mastica, inghiotte, digerisce, immagazzina, brucia e al termine del processo espelle le scorie non ulteriormente trasformabili. Uno sguardo creativo e pieno di humour che ha rivelato l’aspetto vulnerabile dell’architettura, mettendo  in discussione l’idea di perfezione, virtuosismo e infallibilità che permea la contemporaneità.

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Milano Design Film Festival si conferma uno degli appuntamenti di maggior rilievo dopo il Salone Internazionale del Mobile, l’edizione di quest’anno ha presentato un ampio scenario ricco di contenuti, ma soprattutto ha fornito l’opportunità di indagare su nuove problematiche della vita di tutti i giorni, con gli occhi delle persone che le vivono. Funk design ritorna la settimana prossima, see you soon!

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