Quello che avrei voluto fare da grande

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Sono le 6.50, suona la prima sveglia. Devi alzarti, forza muoviti. Va beh magari altri 5 minuti… No, non si può arrivare in ritardo a scuola, sbrigati.

E intanto sono già le 7. E così mi alzo, mi trascino in bagno, mi lavo i denti mentre mi guardo allo specchio, che mannaggia a Lillången e al signor Ikea che sicuro è un uomo, perché una donna sarebbe stata senza dubbio più empatica e non avrebbe mai creato uno specchio e una luce che ti fanno vedere anche il più piccolo poro dilatato sul mento. Va beh, non guardarti. Lavati, vestiti, truccati, corri fuori (fa freddo, avrei dovuto mettere l’altra giacca, ma a marzo fa freddo o fa caldo?) che giorno è? Solo martedì? Il martedì dovrebbe essere illegale, che ormai ci si è dimenticati del weekend passato e quello successivo è decisamente troppo lontano. Scale mobili, metro, metro, metro, scale mobili, caffè, sigaretta, eccoci. Arrivata a scuola. C’erano compiti? Boh, chi si ricorda. Va beh, chiederò. Fammi vedere chi c’è dentro, si dai qualcuno è già arrivato, tra poco suona. Devo ricordarmi di non uscire più il lunedì sera se voglio che il martedì nelle mie vene scorra sangue e non vodka. 

Entro, mi siedo e “buongiorno ragazzi, come va?”, che domanda di merda, come vuoi che vada a quest’ora del mattino di martedì? Tutti sono intenti a fare un esercizio, ah ecco, i compiti. Vabbè cominciamo. “Allora, correggiamo i compiti?” La voce, ancora assonnata, è la mia, perché io in questa classe, mio malgrado, sono l’insegnante. Vedo gli occhi degli studenti che mi guardano, assonnati quanto me, probabilmente con una serata simile alla mia alle spalle, che però si aspettano che io abbia bevuto una tisana, corretto dei compiti e sia andata a dormire alle 21, 21.15 al massimo. Fa strano essere “dall’altra parte”. Qualche volta li guardo e li invidio, nella maggior parte dei casi hanno tra i 19 e i 25 anni, sono indipendenti, liberi, arrivano da tutto il mondo, viaggiano, conoscono una marea di persone, hanno una libertà e una spensieratezza che io non ho più. Ma il più delle volte in realtà non li invidio affatto, e sono contenta di essere cresciuta e di poter fare o dire cose che a 20 anni non mi passavano neanche per la testa. Che poi se mi fermo un attimo a pensare di cose ne ho imparate parecchie, anche se ce ne sono un milione che ancora non mi entrano in testa. Però: ho imparato a risparmiare, che con un affitto da pagare, le bollette, la spesa, alcune scarpe possono rimanere serenamente sugli scaffali dei negozi. Ho imparato, o meglio sto imparando, ad accettare il fatto di non piacere a tutti. Ho imparato a non aver paura, o almeno ad averne sempre meno, e provare comunque a combatterli quei demoni. 

Ho imparato a cucinare i carciofi, a usare i filtri di Instagram, ad apprezzare le candele, i detersivi a base di candeggina e i maglioni di cachemire. Ho imparato a circondarmi (quasi sempre) delle persone giuste, ho imparato a riconoscere gli stronzi, poi ci casco lo stesso, ma almeno adesso li riconosco.

Ho imparato a insegnare, ad avere davanti tutti quegli occhi che mi guardano, ho imparato a gestire una classe, e soprattutto faccio il lavoro che ho sempre sognato di fare, che quando da bambina mi chiedevano “cosa vuoi fare da grande?”, io non ho mai avuto dubbi

Insomma, se mi guardo indietro e se guardo di fronte a me ogni mattina, realizzo di aver imparato davvero tanto e che crescere a volte non fa così schifo.

Certo, c’è sempre quella storia dello smaltimento di una sbronza… 

(Illustrazione iniziale di Raffaela Lazzerin Instagram @artmospheradesign Twitter @raffa330 Facebook ArtmospheraDesign Behance mail: artmospheradesign@gmail.com)

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