Cambio vita, torno me stessa: i perché e i percome del nuovo MOMA

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Chi l’avrebbe mai detto che 9 anni dopo mi sarei trovata a scrivere un nuovo manifesto programmatico di MOMA.

Eppure eccomi qui, blog nuovo, nuovo nel senso di messo a nuovo.

Ci pensavo da mesi, ok, forse da un anno. Eppure non trovavo lo stimolo e il coraggio di ammettere che non si può semplicemente prendere, voltare pagina e buttare all’aria anni di scrittura sul web. Avevo necessità di riordinare tutto ciò che nella mia vita non funzionava più, ma la scrittura, in fondo, ha sempre funzionato benissimo, dunque buttarla via non aveva davvero alcun senso.

Come in tutti i grandi processi di cambiamento, c’è voluto tempo. Tempo per capire che il fatto di essermi trasferita in un’altra città ormai trentunenne non comportava dover smettere di scrivere, tempo per capire che cambiare di botto frequentazioni, posti, amicizie, non comportava dover smettere di scrivere. Tempo di capire che chiudere la mia ditta individuale connessa a questo blog e riuscire finalmente ad avere il lavoro dei sogni, non comportava dover smettere di scrivere.

Eppure chi scrive di professione o per passione lo sa meglio di me, la scrittura non va a comando, è un processo. Un processo che parte da una profonda interiorizzazione e dunque, semplicemente, ora ammetto: non ero pronta.

Non ero pronta a riversare i miei cambiamenti su una pagina vuota di WordPress, perché, per l’appunto, avevo bisogno di interiorizzarli e metabolizzarli e farci pace.

Ora l’armistizio è stato fatto, la pace è stata firmata. Lo spunto più importante, come sempre, me l’ha dato il mio papà. Parlando. Questa faccenda del trasformare una passione in un lavoro, nel mio caso, la scrittura, è un po’ un’arma a doppio taglio. Perché scrivere è sempre stata la mia passione e mi sono sempre espressa più volentieri scrivendo che in altro modo. Però crescendo si cambia anche, e io, adesso, mi esprimo volentieri anche conversando, mi esprimo con la musica, con le canzoni, mi esprimo in tanti modi diversi. E questo è il primo punto.

Il secondo, invece, riguarda la routine che subentra alla passione quando ne fai un lavoro, e nella fattispecie della scrittura significa dover scrivere per forza. Non quando vuoi, non come vuoi, non quando hai l’ispirazione, ma per forza. Perché ci sono pezzi da consegnare ai giornali con cui collabori, progetti pagati da consegnare ai clienti, caption social da consegnare ai clienti. C’è l’obbligo, che è parte integrante, e giusta, di qualsiasi lavoro, ma che, nel mio caso, hanno dopo anno ha fatto spegnere la fiammella della passione.

D’altra parte mi era già successa la stessa cosa anni fa con la musica, anni spesi a studiare canto e a cantare per passione, quando ho iniziato a fare provini, ad avere intorno persone che mi consigliavano come comportarmi, come vestirmi, come provare ad uscire dal concetto di sagra della porchetta, ecco che stop, per più di un anno non ho voluto toccare il microfono.

Evidentemente dovevo superare i 30 in abbondanza per rendermi conto che nella mia vita passioni e lavoro non sono conciliabili, devo tenere tutto separato se voglio sentirmi soddisfatta, felice e appagata. Il problema vero, cari lettori che mi seguite con affetto da anni, è stato trovare un lavoro, un lavoro vero, che mi permettesse pian piano di mettere in ordine tutti questi cassetti rimasti per mesi e mesi in preda al disordine più totale. Roba che Marie Kondo, se mi vede, prende fuoco.

La scorsa primavera ho fatto un salto nel vuoto, guidata, come sempre, solo dall’istinto e mi sono candidata per il ruolo di direttore di My English School Brescia. MyEs è una realtà stupenda, che ho conosciuto proprio grazie a questo blog nel 2015, una delle rare aziende la cui collaborazione mi era rimasta nel cuore, insieme a molte delle persone con cui avevo avuto a che fare in quel periodo. Ci tengo a chiarire come si è svolto il mio cambiamento non perché sia tenuta a farlo, ma perché mi avete scritto in tantissimi per chiederlo e io ho risposto a pochi, per mancanza di tempo, e, lo ripeto, per necessità di interiorizzare il cambiamento. Dunque mi sono candidata e ho sostenuto dei colloqui, come è normale che sia. Ho avuto una strizza incredibile, e da questo ho capito quanto ci tenessi. Perché avevo perso il conto dei colloqui sostenuti dal 2016 al 2018 già nell’ottica di chiudere la benedetta partita iva e avviare il mio processo di cambiamento, ma nessuno mi aveva mai messo le farfalle nello stomaco, forse nessuno mi aveva mai spinto a lottare per un desiderio concreto. E dunque, non poche dosi di Valium dopo, è arrivato un sì. Era un giorno di maggio, con il sole, ero nella terrazza del precedente ufficio bresciano, avevo i colleghi che, quando è suonato il telefono in pausa pranzo, facevano la Ola di incoraggiamento. Io credo di essermi emozionata così tanto solo poche volte nella vita, al matrimonio di mia sorella ad esempio, o quando è nata mia nipote.

Da quel giorno è cambiato tutto per me. Dico tutto perché ho sperimentato sulla mia pelle che processi incredibili mette in moto sentire concretamente  che qualcuno che stimi ha fiducia in te e vuole darti un’occasione. E poi quell’occasione la mette nelle tue mani, ti da dei consigli per affrontarla al meglio, ma si fida.

Fiducia, occasione.

Capite bene che già da sole sono due parole così potenti da non dover aggiungere altre spiegazioni.

A quel maggio è seguito un giugno di passaggi di consegne e di addii, addii alla mia “vita precedente”, addii fisici. È mancata infatti la mia zia Vittoria, di cui spesso ho scritto e raccontato anche su questo blog, non è stato inaspettato, anzi, ma questo non significa che faccia meno male. Una settimana dopo neanche ero sul primo di una lunga serie di treni presi e ripresi che mi ha portata a Firenze per l’inizio della mia formazione. Tre settimane tra Firenze e Roma che mi hanno letteralmente sconquassata. Fatto tesoro del consiglio iniziale di “spogliarmi” di tutto quello che pensavo di conoscere, sono state tre settimane di rimessa in gioco.

Cè chi sceglie di rimanere nella confort zone tutta la vita, avrei potuto farlo anch’io. Avrei potuto dar retta a chi mi diceva che la mia scrittura è un dono, ed è un peccato non sfruttarlo, e chissenfrega se ogni tanto non riuscivo a scrivere o non riuscivo a scrivere bene quanto avrei voluto, l’importante era che consegnassi i lavori. Per come sono fatta io non funziona così però. La frustrazione, quando ti abbassi a ragionamenti di questo tipo, si presenta poi sotto le forme che meno riesci a controllare, attacchi di panico, ansia, colite, gastrite cronica, inappetenza, appetenza eccessiva, perdita di capelli… Insomma, per chi come me somatizza TUTTO, condurre una vita equilibrata e seguire ciò che fa star bene davvero e non ciò che gli altri pensano di debba far stare bene solo perché lo sai fare, diventa di fondamentale importanza.

Cosa c’entra dirigere una scuola di inglese con la professionalità acquisita per 8 anni? Mi rendo conto che di primo impatto, per voi, la risposta possa essere, niente. La realtà, però, è a che differenza di ciò che negli anni hanno fatto molte colleghe, ovvero mischiare la vita professionale con quella da “blogger”, io non l’ho mai fatto. E non ho mai raccontato qui, o sui Social, quali progetti stessi seguendo come consulente, su quali clienti stessi lavorando e con che genere di mansioni e responsabilità. Non l’ho fatto, e non lo rimpiango, anzi, penso, con il senno di poi, che sia stata una scelta intelligente, perché se avessi mischiato troppo farei molta più fatica ora a tornare a scrivere su queste pagine di pixel.

Quel che forse non tutti sanno è che io non sono spuntata sotto le foglie di cavolo di Instagram due giorni fa, bensì mi sono laureata nel 2010 in Teoria e Metodi per la Comunicazione, a seguito di una laurea precedente in Scienze Umanistiche. Il lavoro sul web è capitato un po’ per caso, perché quando ho iniziato a fare colloqui, i primi ad avermi di fatto selezionata, sono stati professionisti nel mondo web. E nella prima metà del 2010 sotto alcuni aspetti parliamo ancora di pionieri. Io dal web sono sempre stata incuriosita, lo ammetto, ma è anche vero che in Università ho amato profondamente esami come Sociologia, Storia Sociale, Storia contemporanea, Cultura Russa, Cultura Spagnola, Storia dell’arte, Storia della musica, Linguistica. Ho dato esami di diritto dell’informazione, di economia (ahimè) e sono uscita da quell’Università, pur non sapendo nulla della vita, con una cultura umanistica abbastanza ampia. Supportata dai 5 anni precedenti di Liceo Classico. Ebbene sì, ho un passato da secchiona. Ora, possiamo stare qui a discutere ore sul fatto che la cultura umanistica serva o meno, ma qui vi beccate solo il mio parere, e dunque la risposta è sì, serve eccome. Perché apre la mente, e in un mondo ormai popolato più da analfabeti funzionali che persone normali, direi che è già tanto. Apertura mentale e background umanistico e sociologico, mi aiutano ora moltissimo a rapportami ogni giorno, ogni settimana, ogni mese con uno staff per metà non italiano e soprattutto con i nostri studenti. Le esperienze mai raccontate come project manager, organizzatrice di eventi, team leader, mi aiutano nella gestione quotidiana della struttura in sé. Si rompe una porta? Chiamo il fabbro. Uno studente ha un problema? Ci sediamo e ne parliamo. Dal fabbro all’ascolto degli studenti, ci sono giornate in cui, ve lo assicuro, il passo tra le due cose apparentemente antitetiche è in realtà molto breve. E questo è ciò che amo di più di questo lavoro, la sua ricchezza. Il suo non essere mai uguale, il suo porti ogni giorno davanti a sfide differenti. Il suo metterti a contatto con le persone cercando di vincere la sfida più bella, ovvero quella di conquistare la loro fiducia.

Non ho scritto tutto questo per giustificare il come io abbia ottenuto il mio posto di lavoro, ma perché, se questo blog è servito mai davvero a qualcosa, penso che sia servito a spronare chi, nel corso degli anni, ha avuto bisogno di una spinta. Me l’hanno dimostrato gli articoli che avete continuato a leggere nonostante io fossi silente, sulla vita dei trentenni d’oggi, sul come affrontare la singletudine dopo tanti anni, su come rimettere insieme i cocci di una vita dopo un amore finito.

Ed ecco dunque, che dopo questo infinito pippone, veniamo al motivo vero di questo post, ovvero dirvi cosa sarà MOMA da oggi in poi.

MOMA sarà un contenitore della mia vita e delle mie esperienze personali che, per la legge dei grandi numeri, o delle grandi sfighe condivise, possano essere spunto di riflessione e conversazioni con coetanei di tutto lo Stivale. Ci metterò tutta l’ironia di cui sono capace, quella punta di cinismo che, purtroppo o per fortuna, caratterizza il mio modo di affrontare la vita. Scriverò solo quando e se ne avrò voglia, non percepirò nemmeno un euro, neanche se me lo dovessero offrire. Se ne avrò voglia, e due, scriverò anche di moda o bellezza, di sicuro vi racconterò i miei viaggi e posterò le mie fotografie, cosa che, per altro, non ho mai smesso di fare su Instagram. Sarò semplicemente Alessandra. Non esiste più una redazione, non esiste più un magazine. Se vi venisse un attacco di nostalgia, tranquilli che con Federica Venuto che mi ha seguito divinamente in questa trasformazione, non abbiamo buttato via nulla, trovate gli anni dal 2010 al 2018 di MOMA nella sezione Come Eravamo. Per i posteri.

Io, solo per cercare di avvicinarmi al perdono da parte di Marie Kondo, mi darò in sostanza alla filosofia del less is more.

Non sono esperta di nulla, ma posso continuare a raccontare il mio modo di percepire la vita, e, non potete capire che liberazione quella dai numeri, se volete continuare a tornare a leggermi sarà solo un piacere e mai più un’ansia.

Sempiterna vostra

@Alemomastyle

p.s

Se vi state chiedendo come possiamo rigirare ora l’acronimo M.O.M.A. eccovi qui la spiegazione: M come modern, perché sono una donna moderna, fortemente legata ai tempi che vive, ma con un passato indimenticabile alle spalle, che fa da guida. O come original, perché sono io, sono autentica, e ringraziando gli Dei, non esistono altre me al mondo. M come material, in quella sfumatura inglese che lo fa tradurre come concreto/a. Non nel senso figurato che cantava Madonna “material girl”, ovvero attaccata ai beni materiali, ma, anzi, esattamente l’opposto. A come Awesome, perché la mia vita è splendida, meravigliosa, sorprendente, anche quando calpesto una cacca o scivolo sulle bucce di banana, figurate o non.

Quindi, in sostanza, non è cambiato nulla di quanto scrissi nel primo post quel lontano 31 aprile 2010, l’unica che è cambiata tanto sono io, eppure sono riuscita a rimanere, nella mia evoluzione/involuzione, dento i confini di un acronimo che mi ha portato fortuna.

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