Zootropolis: il nuovo film d’animazione Disney

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Difficile parlare di Zootropolis, ultimo film d’animazione Disney in uscita nelle sale italiane il 18 febbraio. L’ho visto in anteprima e ne sono rimasta così favorevolmente colpita che non mi è facile ricapitolare tutte le riflessioni che ne sono scaturite.

Della trama ho già avuto modo di scrivere in occasione della mia intervista a Clarck Spencer, produttore del film, ed altro non voglio anticipare per non guastare alcuna sorpresa. Perché qualsiasi spoiler rischierebbe di rovinare questa storia ambientata per l’appunto a Zootropolis, metropoli pulsante di un mondo dove convivono in pace tutti gli animali mammiferi, di qualsiasi dimensione, predatori e prede, ormai tutti civilizzati e bipedi. La vicenda è un vero e proprio caso poliziesco affidato a Judy Hopps, una coniglietta che ha realizzato il suo grande sogno: diventare un poliziotto, nonostante nessuno ci credesse, perché i poliziotti, a Zootropolis, sono solo animali di grossa taglia, come rinoceronti, elefanti o bisonti. Ad aiutare Judy, ci pensa, inizialmente obtorto collo, Nick Wild, una volpe, vittima degli stereotipi, tanto da esserne diventato succube ed aver accettato una vita di sotterfugi e furberie, come ci si aspetta da una volpe. L’amicizia che lo legherà a Judy aiuterà entrambi a vincere proprio queste false convinzioni e pregiudizi. Tema cardine del film, infatti, sono proprio i pregiudizi che ad un certo punto della trama sembrano aver la meglio ed anche il motto della canzone leit motiv del film “Try Everything”, cantata da Gazzelle (alias Shakira), sembra naufragare in un clima di paura e diffidenza. È il momento in cui anche la protagonista non crede più in se stessa e perde ogni speranza, oltre che l’appoggio di Nick, che ancora una volta si sente trattato con malcelato timore. La domanda, dunque, che pone il film è semplice, ma cruciale: diventiamo ciò che vogliamo essere o diventiamo solo ciò che tutti si aspettano da noi? Judy può, se vuole, essere un poliziotto, oppure è destinata a coltivare carote?

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Nick può essere onesto o sicuramente ti inganna, perché è biologicamente programmato e cos’altro puoi aspettarti da una volpe? Tutti a mente fredda rispondiamo che ovviamente chiunque può diventare ciò che vuole, che soprattutto non bisogna fermarsi alle apparenze…Eppure. Eppure spesso le nostre azioni dimostrano il contrario: i fatti sembrano rivelare un’atavica ed involontaria paura per ciò che è diverso: ad essere onesti, come Judy con Nick, abbiamo reazioni di istintiva diffidenza verso alcune categorie di persone, di commiserazione verso altre e di malcelata superiorità con altre ancora. Se ci chiedono il motivo non lo sappiamo, ma reagiamo così, forse per dannati schemi mentali irrazionali, perché fin da piccoli era meglio fare l’anno oppure ti davano all’uomo nero per un mese intero. Questi sono stereotipi, di cui siamo vittime e carnefici in maniera istintiva, che sono spesso legati a caratteristiche o difetti fisici: il quattrocchi è un secchione, la gobba porta sfortuna o i piccoli di statura sono cattivi. Potrebbero sembrare dei detti popolari come “furbo come una volpe” o “tenero come un agnellino” ed invece sono marchi che discriminano e che crudelmente emarginano e spesso ne sono vittime dei bambini e dunque lacerano dentro. Questo accade anche nella realtà e non chissà dove, in chissà quale periferia, ma anche nei nostri paesi dove i primi a seminare il sospetto sono i genitori che portano i bimbi in un altro parco a giocare, perché in quello vicino alla scuola giocano i figli degli extra comunitari, e la giustificazione, se messi alle strette, è il terribile “così fan tutti”Mi chiedo solo che rischio si corre a giocare con il figlio dell’uomo nero? Che i bimbi possano diventare amici e imparare uno dall’altra, perché nella diversità c’è ricchezza, non nell’appiattita omogeneità.

La vitalità di Zootropolis, specchio zoomorfo della realtà, scaturisce proprio dall’incontro di così tante creature tra di loro diverse: lo spettacolo dell’Unione dei diversi è spettacolarmente grandioso proprio grazie alla diversità spiccata di dimensioni, colori degli abitanti: dalle giraffe ai ghiri, dai leoni agli agnelli. La diversità va coltivata e amata, non ghettizzata, come metaforicamente accade nel film. Superare i pregiudizi e non emarginare è la vera sfida di questi anni e Zootropolis tocca con estrema abilità questi temi, aggiungendone un altro correlato. Non dobbiamo permettere che i pregiudizi vincano su di noi, ma dobbiamo trovare la forza per vincerli e questo è un messaggio fondamentale per i bambini e la loro crescita. Non bisogna accettare passivamente chi ti dice che qualcosa non fa per te o che non sarai in grado di fare qualcosa, oppure chi ti indica quale strada percorrere solo perché è la tua così da generazioni, anche se lo dice pensando di fare del bene come i genitori di Judy. Non ci sono strade già prefissate, se non quella che uno si sceglie sulla base delle proprie inclinazioni. Solo seguendo questa strada, si può essere felici, anche se ci vorranno fatica, tempo e tutto sembrerà avverso.

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Zootropolis è molto più dunque di un semplice film d’animazione e riesce anche a distendere il contenuto grazie a scene esilaranti (attenti ai Bradipi o a Mr.Big!) o richiami e strizzatine d’occhio per gli amanti del cinema (il Padrino e Breaking bed sono solo due delle più evidenti citazioni).
Insomma ho già detto che è difficile parlare di Zootropolis, meglio andare a vederlo!

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